Bobo Dioulasso è una città incredibile: un continuo brulicare di motorini, polli e caprette, tutto incorniciato da nubi di polvere del deserto.
La sua struttura urbanistica è lontana dal modello tipico italiano, quello del centro storico intorno al quale si sviluppa la città, per intenderci. E’, invece, un agglomerato di quartieri, ognuno dei quali contenente un particolare servizio o un luogo di interesse, disseminato di mercati tradizionali, boutique di artigiani e commercianti.
Nei mercati si trova di tutto: dalle verdure alle stoffe, dalle pentole ai tappeti, dal legno per il fuoco al carbone per cucinare, le bombole del gas per chi se le può permettere, centinaia di estratti naturali per infusi, decotti, medicamenti, materiale mistico per cerimonie animiste, e ovviamente gli immancabili polli e le caprette di cui sopra.
A Bobo Dioulasso, il mercato è un luogo in cui ancora si svolge la vita, e non un acquario iperilluminato e con la musica a palla in cui i clienti entrano, mettono nel carrello, pagano passando per la cassa per poi ritornare alla loro vita, come invece sono i nostri supermercati occidentali.
Girando per la città, soprattutto il giovedì e la domenica, può capitare di incontrare nel bel mezzo delle strade dei tendoni di plastica montati su delle strutture metalliche: ti sei appena imbattuto in una cerimonia.
Enormi culoni femminili ornati da stupende stoffe africane danzano ed elargiscono denaro ai festeggiati, senza dimenticare di retribuire adeguatamente le gesta dei nostri eroi (i musicisti tradizionali, ovviamente). Banconote stropicciate vengono appiccicate sulla fronte di chi suona, dimostrando gratitudine e stima per l’ultima frase suonata sul balafon o sul djembè, o per le ultime strofe cantate in onore del festeggiato.
Bobo è un luogo sacro, l’ho capito nel tempo. Nulla di brutto può accadere a Bobo-Dioulasso.
La città è permeata da un forte misticismo ed ogni salamelecco è una benedizione:
“Allah ka tle here dama” – Che dio ti dia un giorno felice,
“Allah ka bi dia” – Che dio ti doni quest’oggi,
“Allah ka m’bo sura” – Che dio ci faccia superare la notte,
“Allah ka dougou gnouma ngué” – Che dio illumini con gioia il nostro villaggio domani, sono le “buonanotte” più belle e sognanti che io abbia mai ascoltato.
Salamelecco: idioma italianizzato che deriva dall’arabo “Assalamu alaykum” – in arabo : ٱلسَّلَامُ عَلَيْكُمْ , ʾas -salāmu ʿalaykum. Il famoso saluto arabo parlato che significa “la pace sia con te “.
I salamelecchi del Burkina riverberano di una gioia incontenibile legata alla quotidianità:
“A so môgô do?” – Come sta la gente a casa?
“ Mousouw do?” – E la signora?
“Bara da do?” – E il lavoro?
“I ka mba mousow do?” – La mamma, tutto ok?
Sono solo alcuni dei saluti in lingua Dioula che si ascoltano ogni giorno a Bobo Dioulasso.
Ci si incontra, ci si parla, si ride insieme, ci si prende in giro un po’, e poi ognuno per la sua strada.
“Alla ka sira dia” – Che dio ti doni un buon cammino, solo un’altra piccola benedizione prima di salutarsi, prima che ognuno di noi riprenda il suo cammino.
Il mio cammino un giorno mi portò a Bobo – Dioulasso – letteralmente, la casa dei Bobo [leggi bobò, ndr] e dei Dioula – leggi Giulà [ndr.].
Venni a scoprire che prima che diventasse una città di 500 mila abitanti, Bobo – Dioulasso erano due villaggi, di di due etnie differenti: i Bobo – (leggi “bobò” [ndr]) – e dei Dioula (leggi “giulà”, sempre ndr].
Da quello che ci ho capito io, i Dioula erano grandi commercianti in tutto il vecchio impero del Mali e la loro lingua è diventata nel tempo una lingua franca fra tutte le etnie del Burkina. Un po’ come il nostro Toscano, insomma. i Fiorentini erano grandi mercanti nel Mediterraneo e pian piano il toscano è diventato il dialetto più conosciuto in Italia, fino a diventare la nostra lingua franca.
Come processo sembra simile, vero?
Fatto sta che in Burkina convivono piuttosto pacificamente più di 70 etnie diverse e che ognuna di loro parla la loro lingua tradizionale: Samblà, Bobo, Bwaba, Karaborò, Mossì, Toussian, Gôin, Siamou, Turkàn, Senufò.. sono solo alcune fra le etnie presenti sul territorio Burkinabé.
Incontrare un’etnia è come finire in un altro Paese: nuova lingua, nuova tradizione mistica, una nuova eredità musicale.
Questo era ai miei occhi Bobo Dioulasso: un universo tutto da esplorare per un giovanotto di belle speranze come me, affamato di cultura trasversale e volenteroso di scavare fino alle radici di una cultura millenaria, tramandata di padre in figlio e gelosamente custodita da i miei cari compagni di lavoro per i prossimi 40 giorni a Bobo Dioulasso.